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Permessi ai boss mafiosi: il caso di Raffaele Galatolo

Per la Procura di Palermo resta un pericoloso mafioso e deve rimanere all'ergastolo, per il Tribunale di sorveglianza di Napoli è 'un detenuto modello'

di Redazione -

Sta sollevando polemiche il nuovo permesso premio concesso a Raffaele Galatolo, 74 anni, noto killer del clan dell’Acquasanta e fedelissimo di Totò Riina. Galatolo, condannato all’ergastolo, sta trascorrendo le festività natalizie e di Capodanno a Palermo, proprio nel quartiere dove un tempo esercitava il suo potere mafioso.

Per la Procura di Palermo, Galatolo rimane un mafioso pericoloso che non dovrebbe lasciare il carcere. Tuttavia, il tribunale di sorveglianza di Napoli ha ritenuto che il detenuto abbia mostrato un comportamento modello, tale da meritare un permesso premio fino al 4 gennaio.

Galatolo è noto per essere stato uno dei responsabili della “camera della morte” in vicolo Pipitone, dove il clan eliminava i nemici di Totò Riina. Già lo scorso autunno, gli era stato concesso un permesso simile, suscitando reazioni accese.

Il caso di Galatolo non è isolato e si inserisce in una serie di provvedimenti controversi: Giovanni Riina, figlio del “capo dei capi” Totò Riina, ha recentemente ottenuto l’annullamento del regime di 41 bis. Ignazio Bonaccorsi, 67 anni, capo del clan Carateddi di Catania, ha ricevuto un permesso premio di nove giorni, concesso dall’Ufficio di sorveglianza di Padova. Domenico Pace, 58 anni, uno dei responsabili dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, ha ottenuto un permesso premio di sei ore.

Questi casi hanno riacceso il dibattito sull’adeguatezza delle misure di sorveglianza e premialità per i detenuti condannati per gravi crimini di mafia. Il permesso a Galatolo ha scatenato indignazione, sia tra le istituzioni che nell’opinione pubblica. Le vittime della mafia e i loro familiari temono che tali decisioni possano essere interpretate come segnali di allentamento del contrasto alla criminalità organizzata.

Da un lato, c’è chi sostiene che i permessi premio possano rappresentare un incentivo alla riabilitazione dei detenuti. Dall’altro, emerge la preoccupazione che tali concessioni possano minare la credibilità dello Stato nella lotta alla mafia, soprattutto quando riguardano figure storiche del crimine organizzato