Catania

Evasione Iva per 30 milioni su bevande, dieci arresti VIDEO

di massimilianoadelfio -

Dieci individui sono stati arrestati, 17 soggetti sono stati colpiti da divieti di svolgere attività d’impresa, e beni del valore di 30 milioni di euro sono stati sequestrati in relazione a 17 aziende e 25 persone coinvolte. Questo è il resoconto dell’operazione ‘Ultimo brindisi’ della Guardia di Finanza di Catania, coordinata dalla Procura europea di Palermo. L’indagine è stata condotta nei confronti di un’organizzazione accusata di commercializzare illegalmente bevande in Italia, eludendo il pagamento dell’Iva.

Le città coinvolte

Le autorità hanno eseguito l’ordinanza con l’arresto di persone e il sequestro di beni nelle province di Venezia, Vicenza, Messina, Siracusa, Salerno, Roma, Padova, Rieti, L’Aquila e Milano. Tra gli indagati figura anche il figlio di un boss del clan catanese, fino ad ora senza precedenti penali. L’operazione è stata guidata dalla Procura europea di Palermo in collaborazione con il primo Gruppo della Guardia di Finanza di Catania. Il Giudice per le Indagini Preliminari del capoluogo etneo ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare, con il carcere per sei indagati e gli arresti domiciliari per altri quattro, tra cui due consulenti fiscali, padre e figlio. Sono stati ipotizzati vari reati, tra cui associazione per delinquere, evasione e frode fiscale, e bancarotta.

È stata inoltre emessa una misura cautelare interdittiva nei confronti di 16 imprenditori e un ragioniere, vietando loro l’esercizio dell’attività per un periodo di un anno. Sono stati anche sequestrati preventivamente beni appartenenti a 17 società con sedi a Catania, Messina, Padova e Roma, operanti nel settore del commercio all’ingrosso e dettaglio di generi alimentari e bevande, nonché nel settore del trasporto. Il sequestro comprende 98 immobili e 29 veicoli, per un valore totale di oltre 30 milioni di euro, corrispondenti alla presunta evasione fiscale.

L’accusa sostiene che un individuo di 41 anni, figlio di un esponente del clan mafioso etneo attualmente detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Sulmona, fosse a capo dell’associazione per delinquere. L’inchiesta, durata due anni, ha portato alla luce un presunto gruppo criminale con base operativa in un deposito di Belpasso (Catania), che avrebbe generato un volume d’affari superiore a cento milioni di euro nel corso degli anni. L’organizzazione avrebbe gestito imprese cartiere e interposte attraverso prestanome. Sono contestate diverse attività illecite, tra cui l’acquisto senza Iva di merci fittiziamente destinate all’estero, l’omissione del versamento dell’imposta sugli acquisti provenienti da San Marino, e la simulazione di operazioni intracomunitarie con una società apparentemente situata in Bulgaria, ma di fatto gestita in Italia dal sodalizio. Si sostiene inoltre che profitti illeciti per quasi 600 mila euro siano stati generati attraverso crediti d’imposta inesistenti, come falsi corsi di formazione per i dipendenti collegati all’organizzazione. Alcuni indagati sono accusati anche di bancarotta fraudolenta di tre società, svuotate delle risorse finanziarie e private di beni strumentali, prima di essere cedute a prezzi irrisori.