Catania
Duro colpo dei Carabinieri alla mafia, 181 arresti
Per l'operazione sono stati impiegati 1.200 Carabinieri
Un duro colpo alla mafia siciliana è stato inflitto con un’imponente operazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, che ha portato all’arresto di 181 persone, tra boss, “colonnelli”, uomini d’onore ed estortori appartenenti ai mandamenti mafiosi di Santa Maria di Gesù, Porta Nuova, San Lorenzo, Bagheria, Terrasini, Pagliarelli e Carini. L’indagine, condotta dai Carabinieri e coordinata dal procuratore Maurizio de Lucia e dalla procuratrice aggiunta Marzia Sabella, ha ricostruito l’organigramma delle principali famiglie mafiose, i loro affari illeciti e l’ennesimo tentativo di Cosa Nostra di ricostituire la Cupola provinciale, nonostante la repressione degli ultimi anni.
Oltre ai 181 arresti, sono state notificate due misure di presentazione alla polizia giudiziaria. Per l’operazione sono stati impiegati 1.200 Carabinieri, con il supporto aereo di un elicottero del 9° Elinucleo di Palermo e l’intervento di unità specializzate, tra cui il Reparto Anticrimine del ROS, i “baschi rossi” dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Sicilia, il 12° Reggimento “Sicilia”, il 14° Battaglione “Calabria” e altre componenti dell’Arma.
Gli arrestati sono accusati, a vario titolo, di:
Associazione per delinquere di tipo mafioso
Tentato omicidio
Estorsioni (consumate o tentate), aggravate dal metodo mafioso
Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti
Favoreggiamento personale
Reati in materia di armi
Crimini contro il patrimonio e la persona
Esercizio abusivo del gioco d’azzardo
Dall’inchiesta emerge un preoccupante allarme sulla sicurezza nelle carceri: i mafiosi detenuti avrebbero accesso a microsim e telefoni cellulari criptati, introdotti illegalmente nelle celle. Con questi dispositivi, riuscirebbero a comunicare indisturbati con l’esterno, gestire traffici illeciti e organizzare summit.
Secondo gli investigatori, i boss utilizzano telefoni destinati solo a ricevere chiamate, rendendo difficilissimo il tracciamento delle conversazioni. Grazie a questo sistema, Calogero Lo Presti, tra i nomi coinvolti nell’inchiesta, sarebbe riuscito a ordinare e assistere in diretta al pestaggio di un rivale, Giuseppe Santoro, tramite un video-collegamento telefonico dalla sua cella. Dalle intercettazioni emerge il malcontento tra le file mafiose. Il capomafia di Brancaccio, Giancarlo Romano, lamentava il basso livello dei nuovi affiliati: “Il livello è basso, oggi arrestano uno e si fa pentito. Ma di che cosa stiamo parlando?” E ancora: “Eravamo noi a fare il business, oggi lo fanno altri. Noi siamo gli zingari.” Romano faceva riferimento ai tempi passati, quando i boss avevano agganci nei vertici politici ed economici, e criticava le nuove generazioni mafiose, ridotte, a suo dire, al traffico di piccoli quantitativi di droga anziché ai grandi affari internazionali.