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Stupro di gruppo social

La violenza a Palermo e la violenza sul web

di Emiliano Di Rosa -

I social sono da tempo uno specchi della nostra società, a volte la riflettono perfettamente, altre la deformano. Ci si chiede se per parte delle persone un fatto esista senza passare su Facebook, Instagram, TikTok o perlomeno nella videocamera di un telefonino prima di essere girato nelle chat. Ma soprattutto nella rete a volte vengono amplificate le nostre pulsioni peggiori. Lo stupro di gruppo a Palermo ai danni di una 19enne non solo non ha fatto eccezione ma sta superando ogni limite. Sta accadendo davvero di tutto. C’è la caccia su Telegram al fantomatico filmato dove sarebbe immortalata la violenza sessuale dei sette giovani, violenza consumatasi in un cantiere abbandonato del Foro Italico la notte tra il 6 e il 7 luglio ai danni di una 19enne. Ci sono utenti che scrivono “pago bene, voglio quel video” e in poco tempo la “caccia social” si è organizzata tanto che sono sorti due gruppi Telegram che hanno creato una sorta di percorso protetto per arrivare ad avere le immagini. E poi il profilo social di uno dei ragazzi arrestati, con il suo volto, che continua a funzionare anche se lui è in carcere. E vi si scrive “con che coraggio si insultano gli innocenti” più faccina che ride a crepapelle … I genitori, tramite i legali, hanno fatto sapere che sarà stato qualche amico a fare girare il profilo del ragazzo. Fioccano poi i profili fasulli dove ci si nasconde vigliaccamente nell’anonimato, si usano foto degli arrestati, ci si inventa l’identità della ragazza violentata: invenzioni, commenti osceni, provocazioni. Si insinua o si scrive esplicitamente che la ragazza se l’è cercata, che la colpa è anche sua, che “può succedere” e altre frasi del genere. Vengono i brividi.  Le cose sono due: o non ci si rende conto della gravità di queste parole perché si è stupidi oppure si ha consapevolezza e in questo caso si è cattivi e miserabili. Da giorni si sta consumando uno “STUPRO DI GRUPPO SOCIAL”. Un altro stupro di gruppo, meno violento per la vittima ma certamente infame e ancor più subdolo!

Ma c’è altro. Perché i sette accusati della violenza di gruppo devono rispondere alla Giustizia dei Codici non a quella sommaria dei social; sono i magistrati a giudicarli ed eventualmente condannarli applicando la Legge. Lo Stato di Diritto prevede che si possano difendere nelle aule del Tribunale. L’ovvia, legittima e se vogliamo anche giusta indignazione va bene, lo sfogo scomposto e verbalmente violento invece no. Anche perché, indirettamente, si riflette sulla vittima, su questa povera ragazza che ha dimostrato tanto coraggio nel denunciare e che merita rispetto, sobrietà e soprattutto tutela della privacy. A meno che, un giorno, non voglia lei, liberamente, esporsi pubblicamente. Ma quella sarebbe un’altra storia. Pe ora “se il video della violenza sessuale di gruppo dovesse in qualche modo arrivare a una piattaforma on line, sia gli indagati che la vittima sarebbero condannati a vita. Al di là di quello che accadrà in tribunale, quel filmato potrebbe ulteriormente segnare l’esistenza di chi è coinvolto in questa storia terribile” dice ad esempio l’avvocato Guido Scorza, componente del collegio del Garante per la Privacy. “Per la ragazza si tratterebbe di una seconda violenza: il contenuto digitale, una volta approdato sui social, la segnerebbe per l’eternità” conclude Scorza. E sono parole su cui riflettere. Sulla scelta di alcuni organi di informazione di pubblicare i nomi dei sei arrestati maggiorenni all’epoca dei fatti è recentemente intervenuto Dario Greco, presidente dell’Ordine degli avvocati di Palermo, con queste parole: “Perché diffondere i nomi? Quale necessità, se non quella di una gogna mediatica, di una condanna pubblica anticipata rispetto al processo. Per non dire che quei 6 nomi ne lasciano sottintesi due: quello del minorenne coinvolto nelle indagini e quello della vittima del reato, che, secondo le cronache, conosceva gli autori”. Dai nomi, sempre con i social, è stato infatti facilissimo risalire ai volti dei sei presunti stupratori e la condivisione delle loro foto su Facebook e sulle altre piattaforme in questi giorni è inarrestabile. Con, in allegato, commenti durissimi e parole che, anche in caso di condanna del Tribunale, non sono tollerabili: tortura, pena di morte, evirazione. Anche questo andava detto, magari non è popolare e non attira like, ma non possiamo campare e progredire solo con i pollici all’insù e le faccette di internet.